Casetta Bassa è un progetto pubblico prodotto dai servizi sociali, ideato da Paolo Riolzi.
Il desiderio è quello di costruire un atlante fatto di tante piccole storie che restituiscono un'immagine di chi siamo, una scusa per entrare nella casa del vicino, per creare una rete di relazioni tra le persone che condividono lo stesso paesaggio. La prima fase del progetto è quella di formare un gruppo di lavoro, una squadra locale, che si relaziona con i cittadini attraverso una rete che parte dalle associazioni, fino ad allargarsi all’intera comunità.
La seconda fase, sempre gestita dal gruppo di lavoro, consiste nel farsi aprire la porta di casa dalle famiglie che vogliono partecipare al progetto, invitando un membro della famiglia a raccontare la sua storia personale. A questo punto le storie escono dalla dimensione privata e vengono pubblicate sul quotidiano locale più letto, l’Alto Adige, quindi vengono esposte a tutta la comunità. L’ultima fase prevede la costruzione di un dispositivo che irrompe nello spazio pubblico e invita la comunità di Egna a modificare l’uso degli spazi della città, attraverso azioni che sovrascrivono la loro abituale destinazione d’uso. Le interviste stampate e inserite nel dispositivo, sono a disposizione di tutti i passanti che diventano soggetti attivi dando vita ad una nuova forma di relazione tra i cittadini e lo spazio che abitano
Il desiderio è quello di costruire un atlante fatto di tante piccole storie che restituiscono un'immagine di chi siamo, una scusa per entrare nella casa del vicino, per creare una rete di relazioni tra le persone che condividono lo stesso paesaggio. La prima fase del progetto è quella di formare un gruppo di lavoro, una squadra locale, che si relaziona con i cittadini attraverso una rete che parte dalle associazioni, fino ad allargarsi all’intera comunità.
La seconda fase, sempre gestita dal gruppo di lavoro, consiste nel farsi aprire la porta di casa dalle famiglie che vogliono partecipare al progetto, invitando un membro della famiglia a raccontare la sua storia personale. A questo punto le storie escono dalla dimensione privata e vengono pubblicate sul quotidiano locale più letto, l’Alto Adige, quindi vengono esposte a tutta la comunità. L’ultima fase prevede la costruzione di un dispositivo che irrompe nello spazio pubblico e invita la comunità di Egna a modificare l’uso degli spazi della città, attraverso azioni che sovrascrivono la loro abituale destinazione d’uso. Le interviste stampate e inserite nel dispositivo, sono a disposizione di tutti i passanti che diventano soggetti attivi dando vita ad una nuova forma di relazione tra i cittadini e lo spazio che abitano
Casetta Bassa is a public project produced by social services, conceived by Paolo Riolzi.
The aim is to build an atlas made up of many small stories providing a picture of “who we are”, an excuse to enter our neighbour's place, to create a network of relations between people sharing the same landscape.
The first phase of the project is to build up a working group, a local teaminteracting with citizens, through a network which starts with associations and expands to include to the entire community.
The second phase, managed by the working group, involves families who want to participate in the project, inviting a family member to tell his personal story.
Then the stories go beyond the private sphere and are published in “Alto Adige” the most read local newspaper, and are thus exposed to the whole community.
The last phase involves the construction of a device to be installed in a public space to invite the community of Egna to change the use of city spaces, through activities defining a new significance to their current function.
The interviews printed and inserted in the device, are available to all passers-by that become active participants, creating a new form of relationship between citizens and the space they inhabit.
The aim is to build an atlas made up of many small stories providing a picture of “who we are”, an excuse to enter our neighbour's place, to create a network of relations between people sharing the same landscape.
The first phase of the project is to build up a working group, a local teaminteracting with citizens, through a network which starts with associations and expands to include to the entire community.
The second phase, managed by the working group, involves families who want to participate in the project, inviting a family member to tell his personal story.
Then the stories go beyond the private sphere and are published in “Alto Adige” the most read local newspaper, and are thus exposed to the whole community.
The last phase involves the construction of a device to be installed in a public space to invite the community of Egna to change the use of city spaces, through activities defining a new significance to their current function.
The interviews printed and inserted in the device, are available to all passers-by that become active participants, creating a new form of relationship between citizens and the space they inhabit.
HO CONOSCIUTO SPANTI CARABINIER
Carla Gilmozzi
Avevo un’amica, che la mamma faceva pulizie in caserma, e andavo con lei in caserma a prender la roba che magari doveva portarsi a casa, e ho conosciuto Spanti.
Ci siam conosciuti, andavamo a spasso, sempre di nascosto perché a quei tempi non potevamo farci vedere in giro come adesso, perché era carabiniere, e allora bisognava andar di nascosto.
Poi abbiam comprato una figlia, lui, il papà aveva 24, aspetta 27 anni, e io ne avevo 23; a 30 anni ci siam sposati e siam venuti a Egna. Lui aveva il cappotto con gli alamari e il berretto, e allora quando andavamo verso casa mi accompagnava un pezzo e quando arrivavano le macchine e vedevano lo stemma del cappotto, lui si nascondeva perché non poteva farsi vedere. Quante miserie, eppure era sempre bello, guarda io ancora adesso le ricordo con tanta nostalgia tutte ste cose, dico la verità, lui dirà di no, però per me è stato sempre bello. Dopo insomma ci son stati dei qua e là, però siamo sempre stati bene. Io è 58 anni che sono sposata, la me fiole son diventade grande, la Brigida si è sposata con un meridionale come suo papà, un Mosorrofano, un paese in provincia di Reggio Calabria, uno di quelli giusti, la Lina si è sposata con un altro meridionale anca lu un de quei giusti.
Quando andavo in giro con lo Spanti, andavamo fuori la sera ma quando non era in servizio andavamo in tutti i prati più nascosti che c’erano, eh non potevamo farci vedere, e se lo incontravo per strada mi diceva: « buona sera Signora », eh, buona sera.
Carla Gilmozzi
Avevo un’amica, che la mamma faceva pulizie in caserma, e andavo con lei in caserma a prender la roba che magari doveva portarsi a casa, e ho conosciuto Spanti.
Ci siam conosciuti, andavamo a spasso, sempre di nascosto perché a quei tempi non potevamo farci vedere in giro come adesso, perché era carabiniere, e allora bisognava andar di nascosto.
Poi abbiam comprato una figlia, lui, il papà aveva 24, aspetta 27 anni, e io ne avevo 23; a 30 anni ci siam sposati e siam venuti a Egna. Lui aveva il cappotto con gli alamari e il berretto, e allora quando andavamo verso casa mi accompagnava un pezzo e quando arrivavano le macchine e vedevano lo stemma del cappotto, lui si nascondeva perché non poteva farsi vedere. Quante miserie, eppure era sempre bello, guarda io ancora adesso le ricordo con tanta nostalgia tutte ste cose, dico la verità, lui dirà di no, però per me è stato sempre bello. Dopo insomma ci son stati dei qua e là, però siamo sempre stati bene. Io è 58 anni che sono sposata, la me fiole son diventade grande, la Brigida si è sposata con un meridionale come suo papà, un Mosorrofano, un paese in provincia di Reggio Calabria, uno di quelli giusti, la Lina si è sposata con un altro meridionale anca lu un de quei giusti.
Quando andavo in giro con lo Spanti, andavamo fuori la sera ma quando non era in servizio andavamo in tutti i prati più nascosti che c’erano, eh non potevamo farci vedere, e se lo incontravo per strada mi diceva: « buona sera Signora », eh, buona sera.